“Noi a Modena, come probabilmente in tutta Italia, abbiamo trovato diverse persone che ci guardavano storti, ci schivavano “come se avessimo l’Ebola” (come ha detto giustamente qualcuno) o che ci hanno ripetuto le frasi che ci fanno arrabbiare (“Ebbè siete giovani, ne fate un altro!” “Meglio adesso che dopo!”, etc.), e devo dire che abbiamo distribuito molto il volantino con le frasi da non dire; però abbiamo trovato anche molte persone che hanno chiesto informazioni, per loro o per persone care, oppure che hanno preso molto materiale spiegando che lo avrebbero letto con calma a casa o ancora altre che senza dire altro ci hanno chiesto se potevano prendere il libricino “Diario di una principessa” e siamo dell’idea che valeva la pena affrontare tante persone insensibili al nostro dolore, fosse anche solo per incontrarne una, una sola, che avesse bisogno del nostro aiuto.

A me sono rimaste impresse due persone: una dottoressa in pensione che ci ha raccontato che suo figlio dopo aver perso nel giro di pochi mesi due bambini nel primo trimestre di gravidanza ha rinunciato ad averne, che si è commossa davanti alla memory box ed una coppia di anziani, che dopo aver parlato con noi e saputo che tutti noi volontari abbiamo subito una perdita (seppure in modi e tempi differenti) volevano assolutamente darci dei soldi….

Ma noi abbiamo risposto che lo scopo della giornata non era raccogliere finanziamenti, ma sensibilizzare la gente sul nostro dolore.

Concludo ripetendo quello che ho letto su di un volantino: una su sei non è una statistica, una su sei sono io.”

I genitori del gruppo AMA DI MODENA

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